OPSÌA


coreografia e danza Paola Bianchi
musica Fabrizio Modonese Palumbo
tela Andrea Chiesi
luci Paolo Pollo Rodighiero
parole silenti Ivan Fantini
produzione PinDoc
in collaborazione con AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia


Non ho bisogno di voce, è il corpo che parla, posso fare a meno della voce, è il corpo che canta…
Ivan Fantini 

OPSÌA , parola sparigliata, secondo elemento di parole composte, parola che s’insinua negli interstizi della visione, nelle pieghe. Nella vicinanza dell’azione coreografica lo sguardo si fissa sul corpo, ne segue i contorni, l’alterazione della pelle, il dettaglio, entra nella vibrazione interna per comprenderne il disegno. La vicinanza attiva la sensibilità dello stare, la pelle si fa palcoscenico, si fa tavola su cui la coreografia si espone; lo spazio interno del corpo, i suoi confini dettati dalla pelle diventano spazio esterno, il luogo stesso della sua azione. 
OPSÌA  origina dal libro animanimale di Ivan Fantini e Andrea Chiesi, un doppio racconto per parole e immagini che si sono fissate nel mio corpo e hanno agito sulle forze interne deformandolo. Parole come solchi su cui l’azione s’innesta, luoghi di sosta senza pace per un “umano del genere umano”, esposto.


"L’artista parte da una tela di Andrea Chiesi e dal libro animanimale di Ivan Fantini per tradurre l’una come le altre in dei movimenti coreografici, o più materialisticamente in fremiti e coreografie della pelle. In questo senso, se immagini e parole sono definibili come traduzioni dell’interiorità di chi le ha dipinte / scritte, ci troviamo con Opsìa di fronte alla traduzione di una traduzione. Il corpo di Paola Bianchi libera attraverso il corpo quella che è l’essenza della tela di Chiesi e dei ragionamenti di Fantini. Se si volesse concepire anche il saggio che sto scrivendo come un quarto livello di traduzione, potremmo per inciso definire la critica come la “traduzione di una traduzione di una traduzione”, che cerca di cogliere il nocciolo della questione, più spesso senza riuscirci. Il fatto che in questo processo di traduzione dall’immagine e dalla parola al corpo si riesca a cogliere poco dell’originale da cui si era partiti va visto qui come un pregio, più che come un difetto. Il teatro è del resto un’arte della suggestione e della fascinazione misteriosa, in cui non è necessario comprendere tutto per accedere alla bellezza. Inoltre, sono davvero pochi – forse nessuno – i fatti della vita che si capiscono per davvero. L’arte bella di cui Opsìa è un esempio non fa che intensificare il mistero incomprensibile dell’esistenza."